Le Soft Machine di Piero Fogliati – Fortunato D’Amico 2013
Piero Fogliati, artista ultra ottantenne dall’incessante attività, da sempre impegnato in ricerche sulla luce, iniziate quando da ragazzo decise di realizzare il suo grande sogno: colorare la pioggia.
Con le sue opere Piero Fogliati ricuce la frattura tra arte, scienza, filosofia, spiritualità, inesorabilmente degenerata nella separazione dei saperi già dalla seconda metà del Settecento. Un Arte antica ma incredibilmente contemporanea, che adotta il progetto come metodo di intermediazione tra il mondo fantastico, nutrito da un immaginario libero, e il mondo reale, sensibile ai cinque sensi e in preda alle trasformazioni della materia, per costruire la macchina, strumento e opera d’arte, studiata per evocare lo Stato delle Meraviglie.
Il tempo per immaginare le cose da raggiungere, imparare a progettarle, realizzarle, sono tutti elementi appartenenti ad attività connesse alla sfera dell’arte, praticate scandendo in periodi un percorso, definito da una visione e recuperato, seguendo le indicazioni tracciate velocemente negli schizzi, poi sistemate in cronologia, quindi diventate procedure. Piero Fogliati dirige la sua immaginazione in mondi ancora inesistenti e la trasferisce, analizzandone le dinamiche, nei mezzi meccanici convenientemente istruiti per registrare e replicare le operazioni idonee a produrre regolarmente i fenomeni sensibili concepiti con la fantasia. La registrazione e la trascrizione dell’imprinting iniziale, che ha dato vita a l’ispirazione poetica, è coniugata con l’elettronica e la meccanica, elaborata in linguaggi espressivi inusuali, nuovi, nella comunicazione artistica perché generati impiegando media contemporanei non conformi a quelli utilizzati nelle accademie per classificare i fenomeni dell’arte, per questo difficili da comprendere in quegli ambienti organizzati formalmente e resistenti verso le proposte di sperimentazione.
Piero Fogliati nobilita necessariamente la sua ossessione e l’ottimizza trasformandola in intuizione e processo di conoscenza che nella gestazione acquista forme mutevoli e raggiunge la dimensione dell’arte con la costruzione di apparecchiature e congegni all’apparenza bizzarri.
Il rapporto con la macchina assume valori innovativi, soprattutto se riferiti all’epoca e alla città, Torino, in cui questa esperienza artistica ha origine. Negli anni sessanta la relazione con gli strumenti meccanici è sinonimo di alienazione, di lavoro estraniante, di fabbrica automobilistica e di grigiore ambientale. In maniera geniale, da vero Maestro dell’Arte, Fogliati azzera le congetture e realizza media addomesticati, assoggettati alle attività del fantastico, che improvvisamente aprono scenari di conoscenza affacciati verso il meraviglioso e l’inaspettato. Costruisce macchine, molto particolari, elementi hardware studiati per soggetti software: la luce e il movimento sono i contenuti principali che si alternano nel divenire delle espressioni congegnate dalla sua arte. Ecco che ora possiamo assistere ad una sinfonia di oggetti che respirano alternandosi ritmicamente, attivati da un motore antropizzato per animare il freddo mondo dei prodotti meccanici. Corde che diventano dispositivi oscillanti e nel loro vibrare producono schermi prima inavvertiti, adesso adattati per la proiezione di fasci luminosi, utilizzare strumenti per colorare la pioggia e l’ombra, modificare plasticamente un corpo che ruota, costruire sculture lavorate con la luce. Tutto questo ora è possibile, lo ha dimostrato Piero Fogliati nel suo laboratorio collocato tra cielo e terra, attrezzato per convertire l’immaginario in realtà.